Il cinema sperimentale giapponese del secondo dopoguerra è animato da un profondo spirito di rivolta. Trova il suo manifesto principale nelle immagini violente e spiazzanti dei suoi film, i cui protagonisti sono generalmente giovani ed eccentrici rivoluzionari.
L’azione dell’individuo che non intende cedere al nichilismo è una risposta alla sempre più inarrestabile globalizzazione; l’alienazione in quanto realtà disumana si fa movente principale di quelle rivolte che mirano al rovesciamento del governo giapponese, e diretta conseguenza di quei sentimenti di delusione e disappunto in seguito al rinnovo del trattato di sicurezza reciproca tra Stati Uniti e Giappone del 1960.
L’umiliazione inflitta al popolo giapponese nel momento in cui l’imperatore Hirohito fu costretto a dichiarare via radio la propria natura umana, negando dunque una discendenza divina, è un fatto da considerarsi cruciale in relazione alle ripercussioni che ebbe nella società. In seguito alla demilitarizzazione della nazione si diffuse un forte sentimento pacifista concretizzato nella nuova Costituzione del 1947. È a causa di questi fatti che Yukio Mishima fondò e guidò il Tate no Kai; il giorno in cui tenne il suo ultimo discorso ai soldati delle Jieitai ed eseguì il seppuku, egli si consacrò eternamente agli ideali del vecchio glorioso Giappone.
«Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! È bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l’esistenza di un valore superiore all’attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! È il Giappone! È il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo».
Intanto lo Zengakuren non sembrava intenzionato a ritirarsi. Gli studenti manifestavano principalmente contro lo schieramento del Giappone al fianco degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam, l’aumento dei costi dell’istruzione e la corruzione dei funzionari delle università. Eppure questo anarchismo sociale non frenò il rifiorire dell’arte, dal cinema alla letteratura; anzi, ne incrementò la realizzazione e ispirò notevolmente la produzione cinematografica. Emersero così registi come Nagisa Ōshima e Shūji Terayama, ognuno con la propria ideologia politica, non sempre affine agli ideali che incalzavano le numerose manifestazioni di protesta nel Giappone del dopoguerra.
In particolar modo Shūji Terayama non si schierò dalla parte di Mishima, ma dimostrò una vera e propria avversione nei confronti dei suoi moventi rivoluzionari e dell’attivismo politico in senso più ampio. Per cui la filmografia del regista, nonostante sia in parte innegabilmente condizionata dal contesto sociale in cui si è formata, si avvale di tematiche e contenuti di tutt’altro genere; la sua interpretazione si fa per questo motivo controversa.
Emperor Tomato Ketchup, film del 1971, esprime senza dubbio sia un’accesa critica alla globalizzazione, sia la negazione di qualsiasi forma di radicalismo.
«Il capitalismo è distrutto alla base, se il suo obiettivo è il piacere e non l’accumulo di ricchezza».
L’incipit del film è un frammento tratto da Il Capitale di Karl Marx, sfruttato forse dal regista per introdurre il concetto del piacere come antidoto al capitalismo. Considerando tale prospettiva, Terayama sembra voler mettere in luce l’essenza contraddittoria della realtà sociale da lui vissuta: anche se il piacere non dipendesse dall’accumulo di ricchezza, se anche esso stesso divenisse il mezzo con cui sopprimere il capitalismo, il risultato non corrisponderebbe comunque alla disfatta di quest’ultimo.
Il regista inscena così una società nella quale i bambini hanno sottratto il potere agli adulti e regnano sovrani, comandati dall’autorità dell’imperatore Tomato Ketchup e dalle loro pulsioni. All’inizio del film sono dettati un austero editto imperiale e la prima sezione della Costituzione istituita dall’imperatore.
Editto imperiale della Costituzione Tomato Ketchup
Faremo la gioia e la gloria del nostro cuore nel vedere la prosperità nazionale e la gioia dei nostri bambini.
Disprezziamo il nostro lignaggio imperiale.
Speriamo di mantenere la prosperità dello Stato in accordo con i nostri amati bambini.
Sezione 1: L’imperatore
Articolo 1
L’imperatore è sacro e inviolabile.
Articolo 2
Per legge, al trono imperiale vi si potrà salire solo durante l’infanzia e vi si dovrà rinunciare una volta raggiunta l’adolescenza.
Articolo 3
Le scarpe dell’imperatore verranno lucidate dalla lingua del proprio padre, e il suo tedio sarà alleviato dal suono del violino della propria madre.
Articolo 4
L’imperatore comanda le forze armate, mantiene l’ordine e promuove il benessere dei bambini.
Articolo 5
L’imperatore farà del Ketchup, suo cibo preferito, il simbolo nazionale.
Articolo 6
I desideri dell’imperatore non devono coinvolgere adulti.
Articolo 7
L’imperatore potrà dichiarare guerre, firmare paci e stipulare trattati.
Articolo 8
L’imperatore indossa un cappello e non lo toglie per nessun motivo.
Articolo 9
I violatori della dignità imperiale saranno accusati di lesa maestà e verranno impiccati.
Le parole accuratamente scelte da Terayama per offrire una panoramica dell’impero Tomato Ketchup, in rapporto allo scenario politico in cui è nato il film, mostrano sfaccettature divergenti: da un lato vi è la critica all’estremismo dei nazionalisti, di cui è partecipe Yukio Mishima, espressa mediante l’esasperazione del potere dell’imperatore Tomato Ketchup. Il quarto e il settimo articolo fanno appunto riferimento alla smilitarizzazione imposta al Giappone con il trattato di San Francisco del 1951, e restituiscono idealmente il pieno potere all’imperatore del trono del crisantemo. D’altra parte vi è la critica alla globalizzazione che ha travolto la nazione dall’inizio del protettorato degli Stati Uniti sul Giappone; non poteva essere più appropriata la scelta del nome dell’impero rappresentato nel film: Tomato Ketchup, la quintessenza del gusto americano.
Attraverso Emperor Tomato Ketchup, il regista più di ogni altra cosa sembra aver voluto mettere in risalto la contraddittorietà delle ideologie rivoluzionarie che andavano diffondendosi in quel contesto sociale.
«Non credo affatto alla rivoluzione politica. Piuttosto, mi interessa una rivoluzione sessuale che includa una rivoluzione nel linguaggio, nel contatto, nello scrivere».
Il filtro roseo della pellicola è forse un rimando a quel genere cinematografico giapponese che è il pinku eiga, nato negli anni sessanta e dal contenuto erotico di carattere sperimentale.
Un tema ricorrente nel cinema di Terayama, che risalta particolarmente nel film Pastoral: To Die in the Country, è quello del rapporto tra madre e figlio. In Emperor Tomato Ketchup i bambini, che detengono il pieno controllo della società, sottopongono gli adulti a violenze di vario genere. Emulando sommariamente le gesta degli stessi adulti, si approcciano alle donne con la medesima naturalezza con cui si rapporterebbero alla propria madre. La figura del bambino, nell’atto di sottomettere l’adulto, evidenzia così la sensualità che l’uomo attribuisce morbosamente al potere.
«La prima cosa a cui si abituarono fu il ritmo del lento passaggio dall’alba al rapido crepuscolo. Accettavano i piaceri del mattino, il bel sole, il palpito del mare, l’aria dolce, come il tempo adatto per giocare, un tempo in cui la vita era così piena che si poteva fare a meno della speranza».
La citazione è tratta da Il signore delle mosche, romanzo del 1954 di William Golding.
Esso descrive una società utopica, o distopica a seconda del punto di vista; che questa sia o no una condizione imposta, sia Terayama che Golding sembrano voler analizzare e mettere in discussione la propria istituzione di appartenenza attraverso lo studio dell’ipotetico comportamento di bambini allontanati dai loro punti di riferimento. Nel caso di Emperor Tomato Ketchup i bambini hanno già a disposizione strumenti di controllo come armi da fuoco e un campo di battaglia sottratto direttamente agli adulti. I bambini descritti nel libro vengono invece allontanati dalla loro quotidianità di civili: dopo un primo periodo di euforica libertà, essi sembrano voler ripristinare la società di provenienza che appare loro come una realtà imprescindibile. Identificano in primo luogo il potenziale leader del gruppo, sottostanno alle sue convincenti disposizioni, e nel momento in cui riconoscono in un altro qualità superiori cambiano fazione senza riguardo.
È possibile che lo scenario fanciullesco sia servito sia nel film come nel libro a mettere in luce l’ambivalenza del concetto di opportunismo; che si tratti di saper cogliere un’opportunità o indulgere a favore del proprio tornaconto, in entrambi i casi l’epilogo è prevedibile: la società e la politica sono inscindibili, ma le necessità di una non corrispondono obbligatoriamente a quelle dell’altra.
Per poter comprendere almeno in parte figure eclettiche come quella di Shūji Terayama, è indispensabile tracciare il quadro del complesso periodo storico di una nazione piena di fascino e contraddizioni. Poeta e drammaturgo prima ancora che regista, con Emperor Tomato Ketchup il suo intento era forse quello di mettere a nudo un conflitto privo di risposte, in un’epoca in cui il Giappone stava cercando di opporre resistenza al dominio materiale e intellettuale degli Stati Uniti. Ha potuto così mettere in luce i principali tormenti e debolezze dell’uomo: la ricerca del potere, e l’incapacità quasi assoluta di poter sfuggire alle responsabilità che esso porta con sé.
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